Alle fonti del Clitumno
(Giosuè Carducci Valdicastello di Pietrasanta, LU 27/7/1835 – Bologna, 16/2/1907; Premio Nobel per la letteratura 1906)
Ancor dal monte, che di fóschi ondeggia
frassini al vento mormoranti e lunge
per laure odora fresco di silvestri
salvie e di timi,
scendon nel vespero umido, o Clitumno,
a te le greggi: a te lumbro fanciullo
la riluttante pecora ne londa
immerge, mentre
vèr lui dal seno de la madre adusta,
che scalza siede al casolare e canta,
una poppante volgesi e dal viso
tondo sorride:
pensoso il padre, di caprine pelli
lanche ravvolto come i fauni antichi,
regge il dipinto plaustro e la forza
de bei giovenchi,
de bei giovenchi dal quadrato petto,
erti su l capo le lunate corna,
dolci ne gli occhi, nivei, che il mite
Virgilio amava.
Oscure intanto fumano le nubi
su lApennino: grande, austera, verde
da le montagne digradanti in cerchio
lUmbrïa guarda.
Salve, Umbria verde, e tu del puro fonte
nume Clitumno! Sento in cuor lantica
patria e aleggiarmi su laccesa fronte
glitali iddii.
Chi lombre indusse del piangente salcio
su rivi sacri? ti rapisca il vento
de lApennino, o molle pianta, amore
dumili tempi!
Qui pugni a verni e arcane istorie frema
co l palpitante maggio ilice nera,
a cui dallegra giovinezza il tronco
ledera veste:
qui folti a torno lemergente nume
stieno, giganti vigili, i cipressi;
e tu fra lombre, tu fatali canta
carmi, o Clitumno.
O testimone di tre imperi, dinne
come il grave umbro ne duelli atroce
cesse a lastato velite e la forte
Etruria crebbe:
di come sovra le congiunte ville
dal superato Cimino a gran passi
calò Gradivo poi, piantando i segni
fieri di Roma.
Ma tu placavi, indigete comune
italo nume, i vincitori a i vinti,
e, quando tonò il punico furore
da l Trasimeno,
per gli antri tuoi salí grido, e la torta
lo ripercosse buccina da i monti:
― O tu che pasci i buoi presso Mevania
caliginosa,
e tu che i proni colli ari a la sponda
del Nar sinistra, e tu che i boschi abbatti
sopra Spoleto verdi o ne la marzia
Todi fai nozze,
lascia il bue grasso tra le canne, lascia
il torel fulvo a mezzo solco, lascia
ne linclinata quercia il cuneo, lascia
la sposa a lara;
e corri, corri, corri! con la scure
corri e co dardi, con la clava e lasta!
corri! minaccia glitali penati
Ànnibal diro. ―
Deh come rise dalma luce il sole
per questa chiostra di bei monti, quando
urlanti vide e ruinanti in fuga
lalta Spoleto
i Mauri immani e i numidi cavalli
con mischia oscena, e sovra loro, nembi
di ferro, flutti dolio ardente, e i canti
de la vittoria!
Tutto ora tace. Nel sereno gorgo
la tenue miro salïente vena:
trema, e dun lieve pullular lo specchio
segna de lacque.
Ride sepolta a limo una foresta
breve, e rameggia immobile: il diaspro
par che si mischi in flessuosi amori
con lametista.
E di zaffiro i fior paiono, ed hanno
de ladamante rigido i riflessi,
e splendon freddi e chiamano a i silenzi
del verde fondo.
A piè de i monti e de le querce a lombra
co fiumi, o Italia, è de tuoi carmi il fonte.
Visser le ninfe, vissero: e un divino
talamo è questo.
Emergean lunghe ne fluenti veli
naiadi azzurre, e per la cheta sera
chiamavan alto le sorelle brune
da le montagne,
e danze sotto limminente luna
guidavan, liete ricantando in coro
di Giano eterno e quanto amor lo vinse
di Camesena.
Egli dal cielo, autoctona virago
ella: fu letto lApennin fumante:
velaro i nembi il grande amplesso, e nacque
litala gente.
Tutto ora tace, o vedovo Clitumno,
tutto: de vaghi tuoi delúbri un solo
tavanza, e dentro pretestato nume
tu non vi siedi.
Non piú perfusi del tuo fiume sacro
menano i tori, vittime orgogliose,
trofei romani a i templi aviti: Roma
piú non trionfa.
Piú non trionfa, poi che un galileo
di rosse chiome il Campidoglio ascese,
gittolle in braccio una sua croce, e disse
― Portala i servi. ―
Fuggîr le ninfe a piangere ne fiumi
occulte e dentro i cortici materni,
od ululando dileguaron come
nuvole a i monti,
quando una strana compagnia, tra i bianchi
templi spogliati e i colonnati infranti,
procedé lenta, in neri sacchi avvolta,
litanïando,
e sovra i campi del lavoro umano
sonanti e i clivi memori dimpero
fece deserto, et il deserto disse
regno di Dio.
Strappâr le turbe a i santi aratri, a i vecchi
padri aspettanti, a le fiorenti mogli;
ovunque il divo sol benedicea,
maledicenti.
Maledicenti a lopre de la vita
e de lamore, ei deliraro atroci
congiugnimenti di dolor con Dio
su rupi e in grotte:
discesero ebri di dissolvimento
a le cittadi, e in ridde paurose
al crocefisso supplicaro, empi,
dessere abietti.
Salve, o serena de lIlisso in riva,
o intera e dritta a i lidi almi del Tebro
anima umana! i fóschi dí passaro,
risorgi e regna.
E tu, pia madre di giovenchi invitti
a franger glebe e rintegrar maggesi
e dannitrenti in guerra aspri polledri
Italia madre,
madre di biade e viti e leggi eterne
ed inclite arti a raddolcir la vita,
salve! a te i canti de lantica lode
io rinnovello.
Plaudono i monti al carme e i boschi e lacque
de lUmbria verde: in faccia a noi fumando
ed anelando nuove industrie in corsa
fischia il vapore.
(Da: Odi barbare, 1877)
Dello stesso autore:
Ad Annie –
Davanti San Guido –
Pianto antico –
Traversando la maremma toscana
Buon inizio di settimana!
Buon inizio settimana
Ciao Piero
non ci sono mai stata alle fonti di Clitumno, penso sia un posto magnifico, come del resto tutta la natura lo è.
La poesia del del carducci è un insieme di moderno e classico.
Molto bella
Un abbraccio e grazie
Buon inizio settimana
Chiara
Pensieri felici e buon inizio settimana anche a te!
Sono stata alle fonti del Clitunno …..e la vita prorompre dalla terra !
Buona settimana Piero.
Buon pomeriggio !
Buona settimana !!!
Mi piacerebbe vedere "dal vivo" le foti del Clitumno, devo essere un luogo molto bello. Ciaoo
Non è molto famosa. Ma forse un motivo c’è.
Buon lunedì!
Buona serata…
bacio